Dedicato a Papa Francesco
Per opporsi al terrorismo climatico è necessaria una speranza costruttivamente matura che attraverso l’integrazione della creatività individuale con l’elaborazione collettiva, rifugga dalla nozione infantile del “tutto e subito”, e promuova invece un impegno anti-entropico deciso e duraturo contro le forze che spingono verso la dissoluzione dei legami. Gli psicoanalisti possono svolgere un ruolo cruciale nel coltivare la capacità di pensare e sognare un futuro migliore e contribuire a dare valore al senso della misura e della sobrietà, proponendo una vita sufficientemente buona, in cui possa esserci spazio per l’amore e la creatività, contrastando il pensiero magico e illusorio e guardando con sincerità ed integrità anche agli aspetti negativi dell’esistenza, ma proponendo di viverli con coscienza riflessiva attraverso il paziente e continuo lavoro di simbolizzazione.
22 aprile 2025 Giornata mondiale della Terra ( https://www.spiweb.it/la-cura/costruire-la-speranza-nel-mondo-che-cambia-c-schinaia/ )
COSTRUIRE LA SPERANZA NEL MONDO CHE CAMBIA
Brevi note sulle difese psichiche individuali e gruppali
Siamo circondati dall’ambiente, respiriamo l’ambiente, dipendiamo dall’ambiente, ma al tempo stesso lo teniamo dentro di noi, nei nostri sogni, nei nostri conflitti, nelle nostre menti, nelle nostre angosce e nelle nostre paure. Il cambiamento climatico è più di una questione tecnica e richiede una reinterpretazione delle relazioni in ogni ambito della vita, è importante evitare di avallare una visione chiusa del futuro e, invece, dare uno spazio anche visionario ai futuri possibili, proponendo un’ecologia del desiderio invece di un’ecologia soltanto del dovere e della rinuncia.
Di fronte a fenomeni sconosciuti o a cambiamenti di paradigma spesso prevalgono l’allarme e l’ansia, che portano a vari meccanismi di difesa come l’incapacità di comprendere le trasformazioni o, peggio ancora, a demonizzarle senza comprenderle. Viene, pertanto, a crearsi un divario tra la necessità di un’azione urgente e collaborativa in relazione a una crisi e il crollo del nostro funzionamento psichico, soprattutto perché siamo noi gli agenti della distruzione. Da un lato, siamo emotivamente allertati e spaventati dalla crescente perdita di biodiversità e dall’intensità del cambiamento climatico, ma dall’altro sembriamo incapaci di dare ascolto a questi avvertimenti nella nostra routine quotidiana e non riusciamo a collegare eventi e dati globali, vissuti come lontani, con l’urgenza del cambiamento a livello locale.
Quando ci confrontiamo con il cambiamento climatico, entrano in gioco tre differenti forme di rifiuto: la negazione, il diniego e il negazionismo (Wientrobe, 2013)[1]. Ognuna di queste forme implica in modo radicale effetti differenti:
a) La negazione comporta l’affermazione che qualcosa “non c’è veramente”, quando invece è vero che c’è e ci aiuta difenderci dall’angoscia e dalla perdita. È una modalità di rifiuto che si costituisce come il primo stadio transitorio del lutto nell’accettazione di una realtà dolorosa, difficile da sopportare. L’individuo dice no alla realtà, ma non la distorce.
b) Il diniego presenta un problema più serio, in quanto contemporaneamente sappiamo e non sappiamo. Da un lato la realtà è conosciuta e accettata; dall’altro, con una sorta di alchimia psicologica, il suo significato è fortemente minimizzato. Nel tempo questa modalità difensiva risulta particolarmente pericolosa e intrattabile perché le nostre difese tendono a diventare sempre più rigide e radicate in relazione al montare delle angosce. Poniamo noi stessi in un una realtà alternativa per tenere a bada le crescenti emozioni negative e inconsciamente attacchiamo perversamente il significato razionale, proponendo una sorta di anti-significato, una sorta di neo-costruzione delirante della realtà.
c) Il negazionismo è facilmente riconoscibile e consiste nella diffusione intenzionale della disinformazione per interessi politici, ideologici o commerciali. È una modalità difensiva organizzata e pianificata in termini grandemente cinici e la ritroviamo nelle campagne politiche (Trump docet) o nelle schede esplicative che promuovono un prodotto, riducendo il valore o mettendo tout court in discussione le stesse scoperte scientifiche in tema di cambiamento climatico.